domenica 19 giugno 2011

Una casa, per esempio

Conversazione con Roberto Innocenti 

Roberto Innocenti nella sua casa di Montespertoli

Roberto Innocenti è oggi uno dei più famosi illustratori del mondo. Tra le sue opere fondamentali si possono ricordare Pinocchio, Canto di Natale, Schiaccianoci, oltre ai due grandi libri ‘politici’ Rosa Bianca e La storia di Erika. Nel 2008 ha vinto, unico illustratore italiano nella storia del premio, l’Andersen Ibby Award, una sorta di Nobel dell’illustrazione mondiale. Per l’editore americano Creative Editions Innocenti ha appena terminato la sua particolarissima versione di Cappuccetto rosso, tutto ambientato nella periferia della città contemporanea, con supermercati, ingorghi di traffico, bidonville, teppisti in motocicletta (ma di Cappuccetto ci riserviamo di parlare quanto prima, non appena potremo anticipare qualcuna delle immagini più forti e suggestive).
Per le nostre edizioni Roberto ha preparato due cartelle di disegni (La grande arte di Roberto Innocenti e Fienili) e sta mettendo mano all'Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson di cui però non ci azzardiamo più a prevedere la data di uscita.

Il nostro blog è nato da pochi mesi e non avevamo potuto segnalare adeguatamente l'ultima fatica di Innocenti, The house, in italiano la Casa del tempo, in libreria dal novembre scorso per le edizioni de la Margherita. 'La casa' si inserisce perfettamente in quella ricognizione tra storia, politica, antropologia di cui Innocenti ha fatto la sua cifra stilistica più riconoscibile.


Pubblichiamo, di seguito, un'intervista con Roberto tratta dal primo numero della rivista fff, diretta da Gianni Sinni.






Una casa esemplare

La
Casa del tempo è un libro che continua, per così dire, la tua ricognizione, ormai più che un dato stilistico, sul territorio, sulle sue logiche e sulla sua topografia. Ci vuoi dire come è nato il libro.

Roberto Innocenti. L’inizio della Casa del tempo è in vecchio disegno di molti anni fa. Un disegno che non era servito a niente ma che poi ha determinato, come a volte succede, il cominciare di un racconto. La casa è un rudere seicentesco a mezza costa, una colonica abbandonata ai margini di un bosco, campi angusti sostenuti da terrazzamenti di pietra. La mia casa viene ‘rioccupata’ all’inizio del novecento da una famiglia contadina ed è scena e attore dei fatti del secolo scorso. Davanti alle sue pietre passa la grande storia, la prima guerra mondiale, il fascismo, la seconda guerra e la lotta di liberazione, il passaggio del fronte e l’arrivo degli alleati, il nuovo abbandono e il recupero di una comunità hippie degli anni sessanta, poi il finale, che potrei dire tragicomico, con il riattamento borghese e funzionale da seconda casetta residenziale, completa di archetti tosco-goticheggianti, piscina, macchina di lusso e nani da giardino a completare una storia che si segnala, alla fine, come storia di nuova decadenza. Adesso la mia casa potrà essere ampliata del 20 o del 35 per cento e si potranno costruire, che sò, la sauna o la piscina coperta.




Ma la casa non scandisce solo la grande storia del novecento. Ricorda, per chi ha o vuole avere memoria, anche le piccole storie della società.

Roberto Innocenti.
È una colonica che si pone chissà dove sulla linea gotica, rifugio di poveracci, di una delle tante famiglie contadine molto più ricche di bocche da sfamare che di mezzi per sfamarle. Contadini che non hanno terra buona ma che devono strappare ai primi contrafforti della montagna un lembo di campo per piantare un filare di vite, qualche olivo. È una casa dove l’elettricità arriverà tardi, forse negli anni sessanta, C’è un nucleo familiare che fatica la vita, nel corso del tempo, e che viene tenuto insieme dalle donne, mentre gli uomini se ne vanno coscritti verso le guerre che non gli appartengono, quelle del Carso nel 15-18, o quelle che gli appartengono, come la lotta partigiana del 43-44. E infatti la fine sarà segnata dalla morte e dal funerale della vecchia mamma che serve da raccordo significativo per tutta una storia del secolo.


Dopo la fine della vecchia famiglia contadina (i figli saranno andati in città, in fabbrica o chissadove) la storia cambierà e potrà essere raccontata dai nuovi ricchi che ristruttureranno la casa in pacchiano look neocaliforniano.

Roberto Innocenti. Non potrà più essere, però, la stessa storia; mancherà della continuità con il passato, perché per raccontare quell’altra storia, c’è bisogno di chi quelle vicende le ha vissute e che conosce quei luoghi, quei campi, quei boschi.

Dice Stephen King che lui scrive del Maine perché, in fondo, è l’unica comunità che conosce bene, la sua.

Roberto Innocenti. Ecco, qui è un po’ la stessa cosa, bisogna conoscerla quella comunità per poterla raccontare, conservarne, non con nostalgia ma con una sorta di onestà narrativa e visiva, la memoria possibile.
Intorno alla casa ci sono pochi elementi costanti che ne mantengono, nel tempo, il carattere e lo ‘stile’. Ci sono le pietre dei muri e dei muretti, pochi mattoni rossi, il pozzo, i terrazzamenti strappati al greppo. Il mondo avvertito e conosciuto è tutto lì e c’è la certezza del racconto topografico del territorio. Il resto è vicino ma estraneo, ci sono pochi contatti anche con il paese che si presume  un poco più in basso, con l’altra gente che si raduna solo per le occasioni importanti, un matrimonio, la liberazione, un funerale. È la storia di quello che si conosce e che magari si guarda senza nostalgia ma con una sorta di epocale distacco oggettivo.



Una storia locale che diventa storia esemplare.

Roberto Innocenti. Può essere una storia esemplare. È il racconto della trasformazione di una comunità. Io sono nato a Bagno a Ripoli nel 1940. Per andare in città c’era solo il tram, il 33, e le vie intorno a quelli che oggi sono viale Giannotti e Viale Europa, erano a sterro. I campi erano fuori dell’uscio di casa e passavano i barrocci tirati dai bovi. Quella Firenze è scomparsa dopo l’alluvione. I quartieri si sono dissolti, il tessuto sociale della comunità si è disgregato nelle periferie dormitorio. Dagli anni ’70 Firenze non c’è più. Poteva essere salvata, forse, ma non è stata salvata. I quartieri popolari (Santa Croce, San Frediano, San Lorenzo…) che avevano composizione mista, ceti alti e bassi insieme, hanno perso ruolo, funzione, identità. Quello che c’è adesso si vede bene e non è, a mio parere, un bel vedere. Firenze ha perso l’anima e lo possiamo affermare anche senza quella nostalgia che sembrerebbe inevitabile nelle parole.

Sembra di capire, quindi, che i tuoi disegni si pongono come un mezzo per l’analisi critica della società…


Roberto Innocenti. Con questi disegni non credo di voler fare l’analisi critica o politica di un mondo e di una società in trasformazione costante, né spero di rifugiarmi in un’amarcord stucchevole e fuori luogo. Si tratta però, questo sì, di un’analisi visiva e antropologica. Questo era, questo non è più. Per ricordare e riflettere.

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