martedì 23 agosto 2011

I colori di Cappuccetto

La lingua batte sempre dove il dente duole. Così, avevamo appena finito di occuparci di Cappuccetto Rosso che Sandro Savorelli ci segnala una bella pagina dedicata al nostro eroe (eroina?!) da Michel Pastoureau, uno dei massimi studiosi europei del Medioevo, largamente noto e tradotto anche in Italia. Pastoureau, naturalmente, affronta il problema dal punto di vista che più gli è congeniale, quello del colore, e situa l'analisi della storia di Cappuccetto all'interno della simbologia medievale, che vedeva nella triade bianco-rosso-nero la composizione-accordo cromatico più significativa.
Michel Pastoureau è direttore dell'Ecole pratique des hautes études e titolare della cattedra di Storia del Simbolismo in Occidente. Tra i titoli nella sua bibliografia possiamo segnalare Il piccolo libro dei colori (Ponte alle Grazie, 2006), L'Orso. Storia di un re decaduto (Einaudi, 2008) e Medioevo simbolico (Laterza, 2009).


(...) Nelle fiabe e nelle favole, se capita che i titoli contengano termini indicanti colori, le note colorate sono rare. Bisogna leggere molto per raccoglierne un po'. Però si tratta di note forti e, come le fiabe, si tratta di retaggi che vengono da lontano. Essi si articolano principalmente attorno alla triade primitiva nero-bianco-rosso, tre colori che per secoli, se non per millenni, hanno rivestito un ruolo simbolico più marcato rispetto a tutti gli altri. L'esempio più esplicito è senza dubbio quello di Cappuccetto Rosso.

In questa celebre fiaba la domanda essenziale riguarda il colore: perché rosso? Be', si tratta di una domanda che si sono posti in pochi. In compenso si tratta di una fiaba stra-studiata, sulla quale si sa tutto o quasi, nello specifico la sua lontana origine nella cultura orale del Medioevo occidentale: è già documentata nella regione di Liegi attorno all'anno Mille, con il titolo La Petite Robe rouge, il vestitino rosso. Ma come spesso accade, la ragione di quel colore rimane oscura.

Perché rosso? Di primo acchito si potrebbero proporre spiegazioni banalmente simboliche: il rosso allude alla crudeltà del lupo, all'uccisione della nonna, al sangue che sta per scorrere. Un po' sbrigativo, anche se volessimo affermare che il lupo è il Diavolo. All'inverso, l'idea che quell'indumento rosso sia una cappellina magica, una sorta di Tarnkappe che proteggerà la ragazzina dalla crudeltà del lupo, non è sbagliata, ma rimane carente. Rischiando di apparire un po' anacronistici potremmo osare un'interpretazione psicoanalitica. Il rosso sarebbe quello della sessualità: la ragazzina, alla soglia della pubertà, avrebbe in realtà molta voglia di finire a letto con il lupo. Questa è un'interpretazione moderna che ha affascinato alcuni esegeti, in particolare Bruno Bettelheim nel suo celebre Psicoanalisi delle fiabe (in italiano Il mondo incantato, Feltrinelli, 1977 n.d.r.).

Illustrazioni di Margareth Tarrant
Partendo da tre versioni medioevali trasmesse oralmente e non da quelle ingentilite di Perrault o dei fratelli Grimm, Bettelheim sottolinea la dimensione selvaggia e sessuale della storia: il lupo invita la ragazzina a spartire con lui la carne della nonna che ha appena sgozzato e persino a berne il sangue; poi la fa mettere a letto e intrattiene con lei un commercio carnale di altra natura – o comunque se non è il lupo a violentare la ragazzina lo fa il cacciatore dopo averlo ucciso. Secondo Bettelheim il rosso simboleggerebbe questa doppia dimensione, antropofaga e sessuale.
Ma nel simbolismo medioevale dei colori il rosso ha davvero una connotazione sessuale? Non ne sono certo. Inoltre, in qualità di storico, so bene che la psicoanalisi è uno strumento che appartiene al nostro tempo e che non si può trasporre tale e quale nel passato.

Le spiegazioni di tipo storico sembrano poggiare su basi più solide, ma ci lasciano comunque insoddisfatti. Vestire i bambini di rosso è una pratica che risale a molto lontano, soprattutto in ambiente contadino: sta forse semplicemente lì la ragione dell'abbigliamento rosso della ragazzina. A meno che questa, per andare a trovare la nonna, non abbia indossato il suo capo più bello e quindi, come spesso nel Medioevo per le donne, un capo rosso. O forse il rosso allude al giorno in cui la tragica storia si svolge, la Pentecoste, una delle principali festività cristiane, quella in cui si celebra la discesa dello Spirito Santo e, in chiesa come fuori, tutto è addobbato di rosso, colore liturgico che simboleggia lo Spirito. La versione più antica della fiaba, quella datata attorno all'anno Mille, non dice però che la vicenda ha luogo il giorno di Pentecoste, ma che la ragazzina è nata in quel giorno: e sarebbe per questo votata al colore rosso.

Quest'ultima spiegazione è certo quella corretta dal punto di vista storico-culturale, ma dobbiamo riconoscere che ci lascia un po' delusi. Rimangono allora solo le spiegazioni di ordine semiologico, basate sulla struttura della fiaba e sulla distribuzione ternaria dei colori. Il rosso infatti non deve essere inteso autonomamente, ma in relazione agli altri colori, esplicitati o meno che siano: la ragazzina vestita di rosso porta una tazza di burro bianco a una nonna vestita di nero (il fatto che il lupo ne prenda il posto nel letto non cambia niente al colore del destinatario). Troviamo qui i tre colori «polari» delle culture antiche, quelli attorno ai quali si articola la maggior parte delle fiabe e delle favole che mettono in scena il colore. Nella favola del corvo e della volpe, ad esempio, un corvo nero fa cadere un formaggio bianco di cui s'impadronisce una volpe rossa. E in Biancaneve una strega nera offre una mela rossa a una ragazza bianca. La distribuzione dei colori varia ma il loro avvicendarsi si costruisce sempre attorno agli stessi poli cromatici e simbolici: bianco, rosso, nero. Dobbiamo spingerci oltre nell'analisi?


Da: Michel Pastoureau, I colori dei nostri ricordi, Ponte alle Grazie, 2011

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