martedì 27 settembre 2011

Angoscia e ambiguità di E.T.A. Hoffmann

Una volta o l’altra dovremo dedicare un po’ di tempo e spazio a uno dei miti fondanti della letteratura europea, quello della trasformazione, del passaggio, intesi come crescita e cambiamento, come modo di maturare e cambiare la propria esperienza. E se a volte la trasformazione (la metamorfosi) può essere crudele e insensata (Kafka), in altri casi può risultare ambigua, angosciante, paranoide, folle, oppure preludere, raramente però, al più solare dei lieti fine. E stiamo pensando ad E.T.A. Hoffmann che, nei suoi racconti inzuppati quant’altri mai dal romanticismo tedesco (quindi la madre di tutti i romanticismi!) tocca queste corde e le fa vibrare in modo raramente intenso.

Maurice Sendak, 1984

I racconti di Hoffmann nascono spesso da una contrapposizione: lucidità e follia, uomo e automa, realtà e favola, notte e giorno. E spesso i piani si mescolano risultando inestricabili, slittano l’uno dentro l’altro, si sovrappongono e sfumano.

Fabian Negrin, L'uomo della sabbia, 2010
Chi è l’uomo della sabbia del racconto omonimo? Un vecchio avvocato? un alchimista satanico? un costruttore di automi? un occhialaio meccanico? Coppelius-Coppola, in quella storia, recita molte parte in commedia. Come il professor Spallanzani che crea una vita di seconda mano (la bambola Olimpia), incompleta e insoddisfacente, comunque angosciante, cui lo studente Nataniele è incapace di sfuggire.
In ogni caso Coppelius-Coppola-Spallanzani sono anche un ‘passaggio’, un oggetto quasi 'transizionale', il punto di contatto tra due realtà diverse che, senza il loro intervento, non riuscirebbero a toccarsi. Esattamente come il padrino Drosselmeyer di Schiaccianoci e Re dei Topi, anch’esso ambiguo, sfuggente, costruttore di giocattoli meccanici costretti, per loro natura, a ripetere gli stessi movimenti e ad essere, quindi, pallida ombra della vita vera.


Frontespizio di E.T.A. Hoffmann,1906
Drosselmeyer è, davvero, un ‘oggetto transizionale’; muove gli elementi della realtà e del sogno, è attore e testimone della metamorfosi di Schiaccianoci e della principessa Pirlipat, mescola i piani del racconto rendendoli così confusi che il mondo 'alla dritta' può apparire 'alla rovescia' e l’esperienza sognata di Marie Stahlbaum diventare più vera del reale. Ed è proprio questa l’impressione finale della lettura del testo di Hoffmann: quel non sapersi decidere se la realtà sia la veglia o il sonno. Ma da quella realtà, o sogno che sia, Marie Stahlbaum ne uscirà comunque cresciuta, più consapevole e matura.

Naturalmente su Schiaccianoci grava come un macigno l'eredità del balletto di Piotr Ilijc Tchaikovski, che musicò il libretto di Marius Petipa tratto dalla riscrittura di Alexandre Dumas. L’angoscia originale si perde quasi tra le musiche del balletto, gradevoli (anche troppo!) e sostanzialmente incapaci di restituire al racconto l’ambiguità e l’incertezza che sono gran parte della sua cifra stilistica. E anche Maurice Sendak, che disegnò nel 1984 i costumi e le scene per il balletto messo in scena da Ken Stowell per il Pacific Northwest Ballett, sembra risentire dell’understatement della musica tchaikovsvkiana e ci offre una silloge di disegni, senz’altro belli, ma che nulla hanno dell’inquietudine di Hoffmann e nemmeno di quella di cui Sendak stesso era stato capace in alcuni dei suoi capolavori (Outside Over There).

Scene di Maurice Sendak, 1984



Più vicina allo spirito originario la versione del 1996 di Roberto Innocenti che, con il suo tratto accuratissimo, ci trasporta in un mondo senza soluzione di continuità tra la realtà sognata e il sogno realizzato. Nei disegni di Roberto serpeggia e formicola l’angoscia. L’incubo notturno è veramente un incubo e la scena si agita e si trasforma con il procedere degli eserciti che si fronteggiano nel salotto buono di casa Stahlbaum, incerti se tutto questo è un delirio, una febbre, o l’avverarsi degli intrighi hoffmanniani di Drosselmeyer, mago improbabile dalla marsina gialla, la benda nera sull’occhio e la parrucca di vetro.

Tre illustrazioni di Roberto Innocenti, 1996


Nessun commento:

Posta un commento