lunedì 14 novembre 2011

Maestri 19. John Alcorn

John Alcorn  nacque a New York nel 1935. Dal 1958 al 1961 è art director della CBS e fa parte dei Push Pin Studios. Nel 1971 si trasferisce a Firenze ed inizia a collaborare con le case editrici italiane (tale collaborazione si protrarrà anche dopo il suo ritorno in America che avviene nel 1977). Nel 1973 realizza i titoli di apertura del film Amarcord di Federico Fellini. Nel 1977 ritorna negli Stati Uniti. John Alcorn muore nel 1992 ad Hamburg Cove, Lyme nel Connecticut. Recentemente il suo archivio è stato acquisito da Apice, Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione editoriale dell'Università di Milano.
Pepsi, 1969



Push Pin in riva all'Arno

I sei anni che John Alcorn trascorse, e durante i quali lavorò, a Firenze possono essere a buon diritto  considerati fondamentali per la storia dell’editoria italiana. John arrivò nel 1971 e se ne tornò negli Stati Uniti nel 1977; un periodo di grande e febbrile attività, durante il quale si calcola che ebbe a disegnare, soltanto per Rizzoli, che fu all’epoca il suo principale committente, oltre 1500 copertine di libri. Una mole impressionante per quantità e qualità che non solo si segnala per l’eccellenza, ma che servì, allora, principalmente, a sbloccare una tendenza, quasi una deriva, dell’editoria italiana, ancora troppo legata, da una parte, a modi non sempre felicissimi di imaginérie popolare, e dall’altra a quel certo elitarismo che la ‘cultura del progetto’ inevitabilmente pare portarsi dietro.



Copertine per Rizzoli, 1973-1975

Rizzoli. 1975
John Alcorn fu cosa diversa; una meteora che veniva direttamente dall’esperienza newyorkese dei Push Pin Studios e, di quella, si portava dietro tutte le caratteristiche; attenzione alla tipografia, uso disinvolto e coltissimo di elementi della tradizione iconografica, spiccato senso dell’ironia, e soprattutto una grande, straordinaria abilità di disegno (“… tratto domenicale – fu definito da Pino Grimaldi e Gelsomino D’Ambrosio – morbido e materno…”), capace di cambiar pelle e stile, da copertina a copertina, ma sempre riconoscibile, individuabile, vincente.

Certo poi, nel contatto di John con le realtà dell’editoria del tempo è possibile individuare percorsi precisi, vie maestre e deviazioni di percorso. Il gusto per i riferimenti art nouveau, ad esempio, che non lo abbandoneranno mai, sia nella pratica tipografica che in quella di disegno, i contatti con il pop floreale (sopratutto, questo, nei primi anni di attività, quelli americani), l’attenzione quasi morbosa al particolare della pagina, la predilezione, tutta postmoderna, per la decorazione e la cornice, che anticiperanno tanta parte della grafica italiana coeva (si pensi solo alla visualità della Biennale di Venezia, negli anni ’80, sotto la presidenza di Paolo Portoghesi).

Rizzoli, 1976

All’interno di questo ‘gusto’ per la cornice decorata si potrà ricondurre quella che è forse la sua più importante esperienza con Rizzoli: la progettazione d’immagine per la BUR, la Biblioteca Universale, che esce allora dal minimalismo elegantemente povero della tipografia in bianco e nero (quello con cui l’avevamo conosciuta e amata negli anni del dopoguerra), per esplodere in questi controllati ma scoppiettanti fuochi d’artificio ‘alcorniani’. La cornice non è mai uguale, cambia da copertina a copertina, lo stile di disegno e d’immagine si sposa sempre con il contenuto del libro: una grafica che coordina esigenze opposte, dando ai volumi immagini fortemente riferite ma conservando un background continuo di autoreferenzialità che sarà, per anni, la griffe dell’editore e, se volete, anche del suo progettista grafico.

Longanesi, 1986

Appare diversa l’esperienza successiva per Longanesi (sempre comunque sotto gli auspici di Mario Spagnol) dove l’intervento del grafico si ‘limiterà’ al quadro di riferimento; il marchio che diventa texture e, variando i colori, cornice-contenitore della copertina.
La figura longanesiana – scrissero ancora Pino Grimaldi e Gelsomino D’Ambrosio – funziona come un marchio di fabbrica, come un modulo contenitore dalle infinite varianti possibili. Si potrebbe definire un progetto in gestione dei committenti. All’interno del contesto cornice si può introdurre qualsiasi elemento iconografico, il look complessivo non muta, anzi, la ricchezza delle varianti contribuisce a rafforzare la visione d’insieme dell’editrice.

Marchi editoriali, 1971-1990

I rapporti tra Alcorn e l’editoria italiana non si arrestano qui; d’obbligo almeno una citazione per l’immagine di Guanda, per quella di Salani, per l’esperienza del Quadragono.
Dalla New York dei Push Pin Studios di Seymour Chwast e Milton Glaser, agli studi fiorentini in Borgo Albizi, in via degli Artisti, in via dei Serragli, con Leonardo Mattioli e Roberto Innocenti (di cui, per inciso, Alcorn disegnò il logo!), dalla Milano di Mario Spagnol al buen ritiro di Cold Spring nel Connecticut, John Alcorn spese la sua breve vita come instancabile ufficiale di collegamento tra le ragioni della grafica europea e quelle della grafica americana, tra idee di editoria diverse ma non sempre inconciliabili. Servì, si è scritto, a ‘svecchiare’ l’ambiente italiano e dette nuovo slancio ai Guidotti, ai Pinter, ai grafici illustratori che non si volevano limitare ‘solo’ al progetto o ‘solo’all’illustrazione. Una grande scuola, quella di John che è stata spesso messa tra parentesi, per gran tempo quasi dimenticata. Una grande scuola di cui l’editoria italiana dovrebbe ancor oggi essergli grata.


Illustrazioni per What Things are funny?, 1973

Un convegno per John

Il 23 e 24 novembre prossimi a cura di Apice, Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione editoriale dell'Università di Milano nella sede del Rettorato, in via Festa del Perdono, si terrà il convegno, dedicato a John Alcorn e la grafica editoriale italiana intorno al 1970. Parteciperanno, tra gli altri, ai lavori Giancarlo Iliprandi, Ambrogio Borsani, Alessandro Mendini, Daniele Baroni, Italo Lupi, Rosellina Archinto. Leggi qui il programma completo del convegno.

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