venerdì 1 giugno 2012

Illustrazione d'antan. 3. Alphonse Mucha

Alphonse Mucha, 1896
Nato a Ivancice, nella Moravia meridionale, nel 1860, Alphonse Mucha si trasferisce nel 1888 a Parigi, dove frequenta l’Académie Julian. Comincia a collaborare, con disegni e illustrazioni, a giornali e riviste. 

Il 1894 è, per Mucha, un anno decisivo. Sarah Bernhardt gli commissiona infatti il primo di una serie di manifesti teatrali che l’artista realizzerà fino al 1900. Gismonda è il primo titolo della serie, già decisamente art nouveau e attira l’attenzione del mondo culturale parigino.
Nel 1900 espone le sue opere, ormai famosissime, all’Esposizione universale di Parigi. Insieme a manifesti e dipinti presenta disegni per decorazioni, bronzetti, monili progettati per il gioielliere parigino Fouquet. Disegna, su commissione di Fouquet, gli interni del negozio in rue Royale che è considerato uno degli esempi più riusciti di architettura e decorazione d’interni art nouveau

Nel 1904 si reca negli Stati Uniti ma la tiepida accoglienza ricevuta  lo induce a tornare in patria. Da allora, fino al 1939, anno della sua morte,  si dedica esclusivamente alla pittura di soggetto patriottico. Nel 1936 il museo parigino di Jeu de Paume organizza  una grande mostra delle sue opere.

L’eterno femminino

La stagione del liberty europeo e la vicenda artistica di Alphonse Mucha si integrano così saldamente che non è possibile immaginare l’una senza l’altra. Tutto quello, infatti, che nel liberty era forma e sostanza, la decorazione floreale, il gusto geometrizzante, l’eleganza formale, in Mucha divennero quasi un irrinunciabile stile di vita, oltre che di disegno. Portato all’estremo. Si ha quasi l’impressione, guardando i manifesti, i disegni, gli interni dell’artista moravo, che tutto sia un’infinita variazione sul tema, di grande abilità tecnica ma, a lungo andare, ripetitiva e stucchevole. Lo spirito dell’art nouveau diventa quindi, dopo poche immagini, una gabbia stretta e vincolante che non si espande all’esterno ma che resta, perlopiù, superficiale. E infatti la fortuna di Mucha, come rapidamente era salita, altrettanto rapidamente andò tramontando nel gusto del pubblico.


Le bellissime donnine, tutte perdutamente uguali qualunque cosa avessero a rappresentare, tutte meravigliosamente disegnate, accomodate, immaginiamo anche profumate, non potevano certo far presa più di tanto nel mondo che andava veloce verso la Prima guerra mondiale, la Rivoluzione d’ottobre, i tormenti del secolo nuovo che avanzava veloce. Picasso aveva disegnato nel 1907 le ragazze di Avignone, e la loro bellezza selvaggia e diversa, strideva, come contraltare definitivo, di fronte al calligrafismo raffinato ma vecchiotto di Mucha.


Sarebbe però ingeneroso non riconoscere all’artista i suoi grandi pregi. L’apparire dei primi manifesti per gli spettacoli di Sarah Bernhardt furono salutati da un successo e una popolarità enormi. Con la grande attrice francese Mucha stipulò un contratto per le produzioni teatrali degli anni tra il 1894 e il 1900 e per lei Mucha produrrà dei capolavori grafici, dal primo manifesto per Gismonda, a Medea, a Lorenzaccio, alla Signora delle Camelie. 


Naturalmente i manifesti portano sempre il ritratto dell’attrice nel ruolo e ogni centimetro è ingombro di decorazione. Ma sono gli anni del pieno turgore liberty, gli spettacoli sono magnifici, l’attrice incomparabile. Il formato stretto e lungo dell’affiche, che mostra i corpi quasi al naturale, dà poi un che di ieratico alla composizione che sempre più tende ad assomigliare a una vetrata da chiesa.


Ma, come detto, l’artista non seppe fare i conti con i propri tempi e dopo quella stagione fortunata (in cui si segnalò anche come progettista d’interni e disegnatore di gioielli) e un soggiorno, non altrettanto fortunato, negli Stati Uniti, Alphonse Mucha fece ritorno in Boemia dove dedicò gli ancora molti anni della sua vita a dipingere l’Epos Slavo. La sua ultima opera, nel 1939, sarà dedicata al Giuramento di unità degli slavi.
Stava per cominciare la Seconda guerra mondiale ma Mucha era rimasto idealmente e pervicacemente legato alle figurazioni che gli avevano dato la fama quarant’anni prima, a Parigi.

Testo tratto da: Andrea Rauch, Graphic Design, Mondadori 2006.

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