venerdì 27 luglio 2012

Il teatro di Mimmo Paladino




Non si può parlare di Mimmo Paladino senza parlare di archetipi. È un archetipo il grande cavallo, con o senza poliedri in groppa, esile e slanciato, immobile e ieratico, sono archetipi i dormienti che un po' ovunque troviamo nei percorsi della sua opera, archetipi i coccodrilli, le teste di rame, le maschere gessate. Forse tutta l'opera di Mimmo Paladino è un archetipo.


Ed è anche archetipica l'Idea che del teatro ha l'artista. In un suo testo di qualche anno fa Goffredo Fofi suggerisce che la scena di Paladino sia "il luogo di una 'polis' attiva che sembra rifiutare "lo spettatore" ed esigere il partecipe, il coinvolto, il testimone. Abita lo spazio, ospita il rito". 


Nel 'teatro' Mimmo Paladino non è, comunque,  solo. È con il pubblico, suggerisce Fofi, ma è coinvolto e 'compromesso' anche con il regista, con l'autore del testo, con il musicista, con l'attore. È dentro un rito collettivo, tra complici. Gli archetipi di Paladino (teste, cavalli, bruciati o sventrati, maschere, dormienti ecc.) sono dunque il tramite per un 'uffizio' sacro, si nutrono di suggestioni e restituiscono pathos. Non si accettano 'bamboleggiamenti imbecilli' (così li chiama ancora Goffredo Fofi) in quel teatro, né chiacchiericci isterici o fatui.


Il teatro che abita nelle scene di Mimmo Paladino è quello di Eschilo o Schiller, è diretto da Toni Servillo o Mario Martone, ha la passionalità e la ritualità intensa delle cose del sud. Tutto appare necessario, indispensabile diremmo, niente è lì per capriccio della sorte. 
Gli Achei si nascondono nel cavallo ideato da Ulisse e costruito da Mimmo, mentre le parole del poeta ondeggiano e cadono, pesanti come pietre, sul destino di Troia. Il cavallo brucia ed è come se bruciasse l'Idea platonica di 'tutti' i cavalli. È un agire che si spinge ben al di là di ogni nostra idea del 'sacro' e che proprio per questo la rinnova e la invera. Paladino si muove, come ha detto Claudio Spadoni "meditatamente e insieme immaginosamente entro il conosciuto e l'oscuro dei segni".



Mimmo Paladino ha la felicità creativa di un folle o di un bambino. Sembra quasi, svincolato com'è da qualsiasi pastoia di contenuto o di maniera, che qualcuno gli abbia messo davanti una grande tela, gli abbia consegnato barattoloni assortiti di colore e pennelli giganteschi e gli abbia detto: "Toh, fa' quel che vuoi" affidandogli in toto una libertà di espressione che non deve accettare condizionamenti se non quelli che lo stesso artista, magari con quel poco che resta della sua anima razionale, si dà. 
Da questa assoluta libertà nascono le essenzialità del rapporto tra Paladino e il teatro. La sua completa adesione.


Sembra un ossimoro ma è proprio per questo suo essere perfettamente in linea con se stesso che Mimmo Paladino è sempre perfettamente aderente al teatro che rappresenta.
 Adesione paradigmatica nella serie di ritratti I drammaturghi. Ci si chiede sempre se quelle immagini possono indurre lo spettatore ad entrare a teatro e a verificarne le suggestioni. Tutte invogliano, incuriosiscono, stimolano lo spettatore. Tutte chiedono a chi le vede di entrare in teatro e di capire. Sono veri e propri manifesti. 
Speriamo tanto che un teatro, non importa quale, abbia la voglia di stamparli e di invitare così il suo pubblico a partecipare al rito. Al rito officiato da Eschilo e Mimmo Paladino, da Bertolt Brecht e Mimmo Paladino, da Moliere e Mimmo Paladino eccetera, eccetera, eccetera.



Per saperne di più: Mimmo Paladino in scena, catalogo della mostra, a cura di Claudio Spadoni, Museo d'arte della Città di Ravenna, 2005, Silvana editoriale.

2 commenti:

  1. bel post su un grande artista, che mi ricorda come si possa dispiegare la propria esperienza artistica andando ben oltre i confini e i settori, per investire la quasi totalità delle arti.

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  2. Super ! WOW ! Thank You, I L O V E - Mimmo Paladino!

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