venerdì 14 dicembre 2012

Piccoli editori alla riscossa

Tra le novità sicuramente più interessanti della recente Fiera di Roma, Più libri più liberi, la distribuzione del documento curato dall’Osservatorio degli Editori indipendenti (ODEI), un Manifesto di 32 pagine, firmato da una settantina di Piccoli Editori (ma durante la fiera se ne sono aggiunti molti altri), che si presenta (finalmente!) come un documento non legato solo a interessi particolari, corporativi o di bottega, ma vuol essere una ricognizione approfondita sulle dinamiche complesse del sistema libro e di tutti i suoi attori.



Tutto, naturalmente, parte dallo stato dell’arte, dalle condizioni contingenti e storiche del settore, che aggiunge le sue difficoltà alla crisi generale del paese, Un comparto della produzione e della cultura  strangolato e calpestato dalla politica delle grandi concentrazioni editoriali, dalle dinamiche distributive (quasi sempre legate alle concentrazioni di cui sopra), dalle difficoltà economiche, ma anche di comunicazione e promozione delle proposte.
I soliti mugugni cui siamo ben abituati, si dirà, ma questa volta, almeno nelle intenzioni, il passo avanti si spera essere significativo. Il Manifesto infatti non intende “uccidere i chiari di luna” né combattere contro i molini a vento ma attivare una dinamica di interscambio e collaborazione tra operatori (tutti gli operatori), per uno sviluppo più armonico e sostenibile.
L'Osservatorio è coordinato da Gino Jacobelli, Jacobelli editore.

Il Manifesto, redatto da Ilaria Bussoni, editor di DeriveApprodi, e Angela Manni di Manni Editore, è molto lungo e denso, e andrebbe letto in tutte le sue parti. Qui ci limiteremo a riportarne la parte finale che contiene gli strumenti che ci si augura possano essere attivati a breve. Una dichiarazione d’intenti che può essere interpretata come vero e proprio “programma politico”.



STRUMENTO 1
Un ecosistema è un tutto, non la somma delle sue parti (o solo alcune di esse)
Occorre immaginare una sede comune, un’unica sede, dentro la quale coinvolgere i viventi dell’ecosistema del libro. Tutti i viventi. Una sede comune per chi del fare o del vendere libri ha fatto un mestiere. Ma anche per chi i libri li usa, per chi li considera uno strumento a disposizione. Una sede comune per editori e librai, per bibliotecari e insegnanti, per studenti e circoli di lettori, per autori e traduttori. Un luogo di confronto e di proposta capace di vedere anche la vitalità dell’ecosistema libro e non solo le sue crisi. Che di questa vitalità sappia approfittare. Che formuli iniziative condivise e che nella sua gestione e rappresentatività non sia espressione di un governo tecnico, di una burocrazia ministeriale o di una lobby del settore. Per dirla in una parola: un’“istituzione”. La si chiami come si vuole: centro, agenzia, tavolo, coordinamento, banca… ma niente di ciò che esiste oggi corrisponde a questo luogo. Noi pensiamo a un’istituzione, in senso lato. Un’istituzione nel pieno della crisi del “pubblico statuale”, che anche nelle sue premesse sappia pensare oltre le logiche consolidate e fallimentari del funzionariato statale o della presunta capacità manageriale del settore privato.

STRUMENTO 2
Un ecosistema è vivo, se è in movimento
Occorre mobilità e permeabilità tra luoghi e istituzioni. Tra biblioteche, case editrici, università, scuole, librerie, centri studi. Favorire questa mobilità significa far circolare competenze, diffondere saperi tecnici e specifici, contribuire a creare conoscenze condivise che agevolano la comprensione delle esigenze di ciascun attore. La rigidità dei percorsi professionali e delle carriere, l’impermeabilità tra attori pubblici e attori privati contribuiscono a produrre le crisi dell’ecosistema.

STRUMENTO 3
La monocultura non preserva l’ecosistema
Se le differenze hanno un valore per l’ecosistema tutto significa che devono esserci luoghi che le fanno esistere. Non luoghi che le “preservino”, perché quelli si chiamano “zoo” e sono un’altra cosa. Non vogliamo un ecosistema del libro fatto di riserve naturali o aree protette. Ma i luoghi della diversità vanno pensati anche in funzione della loro utilità per il tutto, contribuendo a ripristinare le condizioni della loro sopravvivenza. Lungi da noi immaginare una filiera dell’assistenza rivolta a editori o librerie, ma ciò non significa non poter pensare a strumenti che consentano, ad esempio alle librerie, di poter scegliere quale lavoro culturale svolgere. Canoni di locazione agevolati per le piccole librerie, per quelle di periferia o di quartiere, per quelle in aree disagiate; risorse per l’acquisto di fondi-catalogo o grandi opere; aiuti alla creazione di cataloghi tematici; fondi per la creazione di piattaforme distributive di libri digitali e per l’uniformizzazione delle banche dati delle librerie sono, a titolo di esempio, misure di prassi per un centro del libro come quello francese. Se l’invadenza di una monocultura mette in pericolo il tutto, occorre dare sostegno a chi sceglie la “bibliodiversità”. Sostegno, agevolazioni, aiuti, percorsi di valorizzazione, un fondo di garanzia che faciliti l’accesso al credito a condizioni vantaggiose sia per le case editrici che per le librerie indipendenti (escludendo soggetti di filiera che possiedano particolari concentrazioni): tutto questo non è assistenzialismo da Cassa del Mezzogiorno, ma sono semmai le coordinate per pensare la preservazione e l’evoluzione dell’ecosistema.

STRUMENTO 4
Contenere la voracità di una specie
Vogliamo un ecosistema del libro che metta in condizione chi vuole coltivare la diversità di non subire la prevaricazione di unasingola specie. Se tale diversità si esprime in un luogo chiamato libreria, tutte le librerie devono poter accedere a tutti i libri alle stesse condizioni, indipendentemente da chi sia l’editore, il distributore o la libreria stessa. Favorire la “bibliodiversità” non solo a parole significa immaginare strumenti che limitino lo squilibro tra chi può dettare prezzi e condizioni, in virtù di un “potere” di concentrazione, e chi non ha altra scelta se non accettarli. E questo vale per le condizioni che il distributore detta all’editore, per le condizioni che le librerie (di catena) chiedono all’editore (non di un gruppo), per le condizioni che un gruppo può imporre a una libreria. Occorre aprire un confronto con le librerie indipendenti che vogliono esistere senza essere costrette a scegliere fra chiusura o diventare un soggetto in franchising al servizio dei grandi gruppi; vigilare sulle concentrazioni nella filiera del libro attraverso l’istituzione di una vera “authority” che possa esprimere pareri vincolanti su operazioni di acquisizioni che possano determinare palesi conflitti d’interesse che minano di fatto la libera concorrenza fra case editrici. La concentrazione della filiera crea squilibri nell’ecosistema e favorisce la voracità di alcune specie.

STRUMENTO 5
Favorire l’espansione dell’ecosistema
Occorre favorire l’espansione dell’ecosistema libro. Moltiplicare i luoghi di lettura significa valorizzare quei luoghi che contribuiscono a promuovere questa pratica anche quando la loro missione prioritaria è un’altra. Tutte le ricerche (nazionali e non solo) degli ultimi decenni concordano sul fatto che la lettura è anzitutto un’abitudine. Sostenere e dare visibilità a quei luoghi che predispongono a fare proprio questo habitus (siano essi caffè o circoli di lettura, teatri o associazioni culturali) significa consolidare e ampliare il bacino dei lettori. Di tutti i lettori. In questoZTL, “zone temporaneamente librarie”, può favorire la diffusione di questa pratica anche al di fuori degli ambiti deputati a promuoverla. Tutte le ricerche dicono poi che chi si abitua alla lettura tende a non smettere più: i lettori forti sono buona parte del nostro bacino di lettori. Tra questi soprattutto chi con i libri “lavora”: perché insegnante, ricercatore, studioso o studente. Aiutare questa pratica significa anche immaginare canali del libro che seguano percorsi “dedicati” a queste categorie, alle quali possono essere destinate misure specifiche di detraibilità o persino bonus per l’acquisto.

STRUMENTO 6
L’ecosistema va all’estero
La piccola e media impresa italiana è incapace di innovazione, pare. La piccola e media editoria italiana non farebbe eccezione. Allora mandateci all’estero. Occorre immaginare programmi di scambio con l’estero per operatori del settore librario: editor, librai,bibliotecari. Se la formazione di ciascuno di noi deve essere continua, all life long, se i saperi e l’innovazione non stanno più chiusi dentro le mura della cittadella universitaria, perché non pensare a programmi di scambio intersettoriali che la favoriscano. Favorire la mobilità internazionale degli operatori culturali dell’ecosistema libro significa implementare le conoscenze per farlo vivere.

STRUMENTO 7
L’ecosistema si esprime anche in forme diverse
L’ecosistema libro non ha una sola forma espressiva. Conservare la varietà significa far esistere la “bibliodiverità” dell’ecosistema. Alcune forme espressive sono in via di estinzione: la poesia, ad esempio, che a eccezione di qualche ostinato (eroico) editore è pressoché scomparsa dalla libreria. O le riviste culturali che, senon sovvenzionate da università o fondazioni, non hanno più le condizioni per esistere (e nemmeno per entrare in libreria). È sufficiente dire che questa scomparsa è il risultato della selezione naturale del gusto del lettore? È un’opzione culturale priva di ricadute fare spallucce dicendo «è andata così»? Qualcuno ha calcolato il tempo necessario per veder finire tra le specie estinte, oltre che molti editori, anche il teatro, la critica letteraria, la filosofia…? È possibile immaginare luoghi, anche diversi dalle stesse librerie, in grado di far esistere, magari rinnovandole, queste diverse forme espressive?

STRUMENTO 8
L’economia dell’ecosistema
L’ecosistema del libro è anche un sistema economico, con un fatturato, degli impiegati, degli imprenditori che fanno profitti e altri che fanno debiti. Ma l’impatto sociale e culturale della produzione libraria non è lo stesso di qualunque altro settore. Ed è la ragione per cui questo frammento della produzione culturale in altri paesi è sottoposto a regimi fiscali specifici, quando non è espressamente sostenuto con contributi tanto diretti quanto indiretti. Se fossimo un settore con un consistente “sommerso”, forse la deducibilità dei consumi librari sarebbe una misura già in vigore. Invece, il sistema economico del libro non produce e non si basa sul sommerso. Sono davvero inimmaginabili, in
tempi di fiscal compact e spendig review, forme di deducibilità per chi compra libri? Una fiscalità agevolata per chi li fa? Una deducibilità per chi sovvenziona?

STRUMENTO 9
Un ecosistema deve essere trasparente
L’ecosistema editoriale ha forse più rivoli di finanziamento di quanto non sembri a prima vista. Certamente le biblioteche, anche se duramente colpite dai tagli lineari e spesso con budget ridicoli a disposizione. Comunque variegati sono i contributi direttialla pubblicazione provenienti da comuni, province, regioni, dipartimenti universitari e fondazioni pubbliche. Si tratta di risorse pubbliche spesso preziose che garantiscono la sopravvivenza di etichette editoriali quando non di interi distretti. Intendiamoci, risorse indispensabili, anche per garantire “bibliodiversità”.
Ma che siano gli editori, dunque in primis chi beneficia di tali risorse, a chiedere trasparenza sul loro uso e sulla loro destinazione, sarebbe un segnale di forte controtendenza in un paese che dell’opacità nell’uso di fondi pubblici ha fatto un metodo, anche di governo, consolidato.

1 commento:

  1. condivido in pieno una grande, un in bocca al lupo a tutte le piccole case editrici che combattono contro lo strapotere di alcune

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