mercoledì 8 maggio 2013

Il segreto di Gianni Fanello





Il laboratorio di Gianni Fanello, nella bellissima casa del Mandorlo, nei pressi di Monteriggioni, è anche un ‘magazzino’ di incredibili reperti di ferro, legno, rame con cui l’artista realizza le sue opere. Che sono, di conseguenza, ricomposizioni di oggetti che prendono nuova forma e vita nel momento stesso che Fanello li sceglie, li accosta, li salda tra loro. Il rame, con le sue caratteristiche marezzature che cangiano dal verde al rossastro, ha un’importanza particolare nella scultura dell’artista che ne fa quasi la base dove innestare pentole, manometri, catene di bicicletta, griglie metalliche, oggetti desueti e consueti, dimenticati o trascurati dal tempo.
L’artista ha un segreto per far prendere al rame quel suo caratteristico tono di colore. Prima di essere tagliate e sagomate le grandi lamine vengono portate in giardino, all’aperto, e Fanello, per molti giorni, li bagna con orina umana. Ci piscia sopra, con parola volgare ma comprensibilmente chiara, finché non sono ‘cotte’ al punto giusto. Succede che anche qualche ospite del Mandorlo si presti a questo contributo, umile ma efficace, alla creatività eccentrica di Gianni Fanello.



Demiurgo o rigattiere?
Andrea Rauch

All’inizio c’era la terra, una fanghiglia umida e informe. Indefinita. Il Demiurgo, con un po’ d’acqua, ne fece una pallottola, un impasto elementare, modellò rudimentali braccia e gambe e ci soffiò dentro. Il resto della storia è controverso ma è lecito aspettarsi una conclusione a lieto fine. Il pupazzetto stirò le braccia, piegò le gambe, articolò le giunture e si dette a camminare, dapprima impacciato e rigido, via via più spedito. Fino a prendere la corsa o articolare un passo dell’oca.
La creatura, si sa, tende spesso a sfuggire al suo creatore.

Altra scena. Il vecchio falegname con la parrucca gialla come una “polendina di granturco” vuol costruirsi un burattino “… che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali (…) con cui girare il mondo per buscare un tozzo di pane e un bicchier di vino”. Anche il Demiurgo-Geppetto si fa, comunque, sfuggire di mano Pinocchio che scappa di casa e ne combina di tutti i colori, prima di arrivare all’inevitabile, dolceamara, metamorfosi finale. Pinocchio, trasformato in un bambino “perbene”, si è opacizzato e ha perso la sua essenza dionisiaca; “… è un bel fanciullo coi capelli castagni, cogli occhi celesti e con un’aria allegra e festosa come una pasqua di rose”. È diventato, ohimè, un umano melenso e antipatico e noi cosa possiamo fare se non rimpiangerlo buffo, come “… quand’era burattino”?



Vogliamo continuare? Si può dunque riandare al gotico protoromantico della creatura del dottor Frankenstein, assemblata con pezzetti di risulta e animata da una scarica elettrica che cerca di trasmettergli un 'simulacro di anima sensibile'. La Creatura, in tutta evidenza, non ci tiene molto ad essere animata, non si ritrova nel suo corpaccione patchwork, con pezzi male assortiti e tenuti insieme con filoforte da imbastitura. Azione, terrore, danni, colpi di scena, scioglimento del dramma, annientamento dell’incolpevole creatura. “… In polvere ritornerai!

E un po’ all’indietro nel tempo? “… Esili zampe ai fianchi sostituiscono le gambe, il resto è tutto occupato dal ventre, da cui genera fili, che tesse, come un tempo, mutata in ragno…” Aracne è cambiata in ragno (nomen omen a posteriori!) e il processo è anche qui, nel verso di Ovidio, una materia che si modifica sotto una spinta esterna, per la vendetta, il volere, il capriccio di una divinità (il Demiurgo?!) superiore e lontana.



Adesso ci possiamo fermare avendo spudoratamente accostato Gianni Fanello a Dio, a Geppetto, al dott. Frankenstein e alla dea Minerva. Anche Gianni, comunque, modula e trasforma la materia, sia essa fango, legno, frammenti d’ossa, fili o tubi di rame, con un atto creativo. La materia di cui Gianni si occupa preesiste ma ha esaurito la sua funzione originale, è in genere un rifiuto, un oggetto abbandonato nell’avanzare della civiltà e del consumo; è incapace di continuare a vivere una sua vita organica o tecnologica o funzionale. Cosa può mai essere un manometro, quando non misura più la pressione? Che fare di un tubo di rame all’interno del quale non scorre più nulla, o di un flipper che non fa più correre palline e accender funghetti?

Dove noi vediamo un ‘avanzo’ da scartare Gianni vede un’opportunità diversa, un altro modo di essere, una forma possibile, la creazione di un ‘mito’ nuovo o il rivivere di un ‘mito’ antico. Per questo i suoi oggetti sono così belli e inquietanti: perché di fronte ad essi ci possiamo fermare a comprenderne il ‘passato’ e la ‘storia’ (un rubinetto, una pentola di alluminio, una ruota dentata, con le loro storie piccole o grandi…) ma possiamo anche ipotizzarne o indovinarne il ‘futuro’ che verrà e che proprio ora, con l’intervento dell’artista, sta prendendo una forma e un’anima. La pentola e il barometro sono stati sottratti all’oblio sconsiderato e distratto del quotidiano e, con un atto di pietas e rispetto, vengono collocati nuovamente in un universo di ‘senso’.



L’opera complessiva di Gianni Fanello ha la sostanza dei sogni, è aerea e lieve, inafferrabile, ma ha anche la forza e la concretezza della ferramenteria, con le sue brave saldature, le rivettature, i bulloni, le cerniere e i ribattini.

Il Demiurgo si muove con disinvoltura nel suo mondo di ossimori, tra creature ‘idrauliche’ leggere e pesanti, con i miti di ‘trasformazione’ che lasciano scivolare significati in sospensione tra ‘materia’ e ‘spirito’. Con la lamiera saldata, il rame levigato e i pezzetti di metallo recuperati chissà dove, Gianni Fanello ci racconta un mondo archetipico dove i personaggi sono anch’essi, da millenni, in trasformazione morfologica. Donne che si son fatte crescere le ali (la Nike) o giovinotti che sognano di volare anch’essi (Icaro), o uccellacci con volti crudeli di ‘arpie’. Sono figure ‘pesanti’ ma hanno le ali; sono intrappolate dentro saldature di rame e scaglie di ferro, ma il sogno, anzi il progetto, è quello di librarsi e andare. Sono la realtà e la favola, il rifiuto e il rinnovo delle forme, il vecchio e il nuovo. Sono l’inventario della nostra cattiva coscienza e l’attesa di una palingenesi probabile. Nella fucina di Monteriggioni,  Vulcano, dalla barba rossa coperta dai lapilli infuocati della sua saldatrice, offre alla materia una possibilità e una via di fuga.





Gianni Fanello, Reincarnazioni, Prìncipi & Princípi, 32,00 euro

Nessun commento:

Posta un commento