lunedì 26 marzo 2012

Leggere l'albo illustrato

Presentato in questi giorni a Bologna, nel quadro della Children's Book Fair, Ad occhi aperti, leggere l'albo illustrato, curato da Hamelin e edito da Donzelli (euro 25,00, in libreria nei primi giorni di aprile) si presenta come una prima analisi storica per "... fornire uno strumento critico, capace di guidare la lettura dell'albo da parte di genitori, insegnanti, bibliotecari..."

Il volume contiene saggi di Ilaria Tondardini, Martino Negri, Emilio Varrà, Giulia Mirandola, Loredana Farina, Giordana Piccinini, Nicoletta Gramantieri, Roberta Colombo. Riportiamo di seguito ampi stralci dell'intervento introduttivo di Andrea Rauch.


Tracce per una storia dell'albo
Andrea Rauch

Prima di tutto si dovrebbe rispondere ad una domanda generica e generalissima: cos’è un albo? E poi, qualora fossimo riusciti a darne definizione approssimativamente soddisfacente, si dovrebbe passare a delle domande, diciamo così, di secondo livello: ha un formato preciso? un numero di pagine prefissato? un contenuto certo?

Già con questi primi righi abbiamo preso prigioniero il nostro argomentare in una specie di vicolo cieco. Cos’è un albo? Tutti possiamo rispondere facilmente quando ne abbiamo uno sotto gli occhi, ma questa stessa esperienza ci farà anche dire che il formato tanto preciso non sarà mai, le pagine nemmeno e quanto al contenuto, poi, si dovrà introdurre un elemento altro, fondamentale, che non pertiene la forma ma la qualità.
Dobbiamo naturalmente porci un’altra domanda: quando nasce l’albo (che intenderemo, almeno questo ci va concesso, sempre illustrato)? nell’Ottocento? ai primi del Novecento? negli anni Trenta? Nei Cinquanta?
In ognuno di questi periodi sarà possibile trovare esempi, anche significativi, ma la genericità della domanda ci impone di scegliere: e la nostra scelta, come si vedrà, si àncora al momento in cui l’eccezione diventa regola e l‘eccentricità costume. Quando cioè si potrà definire una tendenza, una norma, riconoscere degli autori specifici e dedicati.

Ma ritorniamo alla prima domanda: cos’è un albo? Leo Lionni, che dovremo citare a lungo, definisce una sua precisa metodologia di intervento e quindi ci offre, con la sua esperienza e riflessione, una prima chiave di lettura.
La sua provenienza dalla grafica attiva ('molto' attiva diremmo essendo uno dei padri nobili della grafica americana), portava Lionni a riflettere sul progetto della pagina e a rispettare, in ogni suo libro, un proprio ‘codice’ di sobrietà e congruità di proposta. I suoi libri (albi) erano sempre composti da quattordici aperture di pagina, carattere graziato (Century Schoolbook, perlopiù), giustezze mai eccessivamente spinte. Ma anche parole semplici, frasi concise, concetti chiaramente espressi e facilmente comprensibili. E, vorremmo aggiungere, storie di forte sostanza ‘etica’. Leo Lionni sostanzia la natura del suo progetto ideale con una fortissima identità grafica. Con lui possiamo quindi dire, in soldoni, che l’albo non ha molte pagine (32 o 36, raramente si arriva a 48), un formato variabile (21x28, 20x20, 23x33 cm. eccetera) ma adatto a suscitare interesse e curiosità, potrà essere cartonato (per non essere distrutto troppo in fretta dai turbolenti lettori), sarà scritto e illustrato per i bambini ma diretto anche agli adulti che potranno, come dicono gli americani to talk about.


(…) Piccolo Blu e Piccolo Giallo è il primo libro di Leo Lionni, 1959, ed è un titolo che entra subito a far parte della storia che andiamo abbozzando. Il libro di Leo arriva infatti presto in Italia, nel 1967, pubblicato tra i primi titoli di una casa editrice piccola ed emergente, la Emme Edizioni, animata e diretta da una delle figure più importanti che l’editoria per ragazzi abbia avuto, Rosellina Marconi Archinto.
Quando la giovane Rosellina pubblica i suoi primi libri è appena ritornata da un soggiorno negli Stati Uniti; si è accorta subito del divario abissale che c’è tra quella cultura e questa, ancora dominata dalle proposte Disney pubblicate da Mondadori e da una congerie di offerte sciroppose e melense che sembrano provenire da un’era geologica dove ancora pascolavano i dinosauri e i mulini erano bianchi. L’editoria per bambini e ragazzi corrente era, a titolo di esempio, in quegli anni Sessanta e nel nostro paese, ancora occupata manu militari dagli albi di Mariapia (“che ha provveduto a rovinare molte generazioni di bambini italiani”, chiosa Walter Fochesato) con i suoi angioletti rosa e celesti, con le sue nuvolette, le pecorelle dalle lunghe ciglia, i Gesù bambino dolciastramente affaccendati.

Natale da un giorno è passato..
Gesù, dopo avere viaggiato
per monti, per valli, per mari,
fermandosi nei casolari,
di tante fatiche riposa
tra nembi di nuvole rosa.
E in un'altalena di fiori
ascolta tranquillo i bei cori:
vocine di angeli biondi,
dai dolci visetti rotondi.


L’accoglienza ai libri della Emme Edizioni, da quel 1966, fu ondivaga: da una parte ci fu curiosità e attenzione (anche se i numeri delle vendite non furono mai troppo alti), ma dall’altra sospetto e ritrosia. ‘Libri per i figli dell’architetto’, furono subito spregiativamente e ironicamente chiamati, per sottolineare una sorta di elitarismo delle proposte e una pretesa mancanza, quindi, di popolare cordialità. Ed è certo vero che quei libri (di Bruno Munari, di Lele Luzzati, di Maurice Sendak, di Iela e Enzo Mari, per citare solo alcuni tra i primi autori pubblicati) sembravano difficili, quasi ostici per i palati melassati dalle dolcezze di Mariapia, ma sono stati anche la punta d’ariete che ha poi permesso di svecchiare il settore e di riallineare l’Italia al resto del mondo, più consapevolmente aggiornato e progettualmente avvertito.

Del clima culturale che si ebbe allora intorno alle proposte della Emme Edizioni, e a quelle della Milano Libri di Giovanni Gandini, che nel 1965 aveva dato alle stampe il primo numero di Linus, abbiamo trovato traccia nel blog Spari d’inchiostro, dove Paolo Interdonato ricorda:

“C’è un libro di Sempé che ho appena trovato su una bancarella in edizione italiana. Si chiama Matteo Sassolino ed è stato pubblicato dalla Milano Libri di Giovanni Gandini nel 1972. Gandini ha pubblicato un sacco di libri illustrati fondamentali e per molto tempo ho sospettato fosse il maggior responsabile dell’immaturità del picture book in Italia. Il mio ragionamento (un po’ balengo) era il seguente.
Milano Libri importava libri bellissimi e fondamentali per farne commercio con la borghesia meneghina nella libreria omonima. Gandini faceva libri importantissimi a sua volta e alcuni clienti della libreria, venuti in contatto con dei libri tanto belli, si trasformavano in editori. Un esempio su tutti è Rosellina Archinto che, con la sua Emme Edizioni, ha pubblicato, tanto per spenderci subito i nomi pesanti, Maurice Sendak, Leo Lionni e Iela Mari.
Questi libri venivano venduti a lettori adulti. Mica ai bambini cui dovevano essere logicamente destinati. Tanto è vero che Linus, durante i suoi primi anni di vita, ospitava cose magistrali di autori imprevisti (Chas Addams, Edward Gorey, Sempé…). Il lettore colto di Linus (che era uno spendaccione, visto che voleva permettersi quella costosissima rivista) andava in libreria – magari proprio alla Milano Libri perché era spesso milanese – e comprava Matteo Sassolino di Sempé, l’Alice illustrata da Steadman, Nel paese dei mostri selvaggi di Sendak, la Fata speciale di Topor, e i libri di Copi, Schulz, Kelly, Al Capp, …
Il libro con le immagini, così come il fumetto, era un prodotto per adulti. Che i bambini continuassero a grufolare nella bruttezza dei prodotti dal segno semplificato e dalle parole svuotate di musica! Già. Perché i libri ai bambini glieli compravano le zie che, come è noto, sono roride di pessimo gusto. Non appena identificano il più vacuo dei segni e la più sgargiante cromomachia, si gettano sopra quell’obbrobrio, rapaci, per infilarlo sotto lo sguardo inerte dei nipotini. Alimenta un bambino a pattume per anni e, da adulto, avrà il palato assuefatto a quel sapore.
Per guarire da questa deriva di pensiero (che oggi mi suscita un po’ di imbarazzo), mi è bastato pensare al fatto che i libri ai bambini li hanno sempre comprati le zie. Ovunque.
Come si spiega allora la presenza di posti nel mondo dove i libri di Crockett Johnson, Maurice Sendak, Shel Silverstein, Sempé, William Steig, Bruno Munari, Leo Lionni… sono stati dei clamorosi successi editoriali? Come?”


Tra le prime proposte della Emme in quei lontani anni Sessanta ce n’è un’altra di cui merita parlare perché, insieme al Piccolo Blu… di Lionni, è considerata spartiacque tra un modo ancora tradizionalmente melenso di intendere l’albo illustrato per bambini e il mondo più avvertito e pedagogicamente avanzato della seconda metà del ventesimo secolo: intendiamo riferirci a Where the Wild Things are (Il paese dei mostri selvaggi, uscito in Italia nel 1969), di Maurice Sendak, dove l’avventura onirica del bambino Max, che, da camera sua, salpa verso il paese dei mostri selvaggi da cui ritorna, proprio per l’ora di cena, è metafora scoperta del mondo che il bambino, durante il suo processo di crescita e formazione, può plasmare e immaginare a propria misura.
Sendak doppierà pochi anni dopo il successo mondiale di Where the Wild Things are con In the Night Kitchen, che preciserà meglio e compiutamente la sua poetica (anche se il libro avrà, soprattutto negli Stati Uniti, vita difficile per il suo presentare il protagonista nudo, esponendolo quindi agli strali della critica puritana.).

(…) L’influenza di Lionni e Sendak è stata ed è fortissima e indubitabile. Quei libri per i ‘figli dell’architetto’, venduti allora a fatica, godono oggi anche in Italia, non solo del loro consolidato prestigio, ma anche di un più che discreto successo commerciale. Babalibri, l’editrice che ha raccolto l’eredità di Rosellina Archinto, e che è significativamente diretta dalla figlia di lei, Francesca, ripubblica continuamente quei titoli (insieme a quelli di Iela Mari), che sono considerati ormai a ragione, anche in Italia, degli evergreen.


La storia di quegli anni è intrisa delle scelte di Rosellina Archinto ma anche intersecata con le storie artistiche e progettuali degli autori che la Emme di allora venne via via pubblicando. Quelle di Bruno Munari e Lele Luzzati, ad esempio, di Iela ed Enzo Mari, di Tomi Ungerer, Etienne Delessert. Alcuni di loro erano già autori di lungo corso anche se non sempre, o specificatamente, dedicati alla letteratura per immagini.
Dell’opera complessiva di Munari e Luzzati non c’è certo bisogno di parlare in questa sede, tanto il lavoro di designer del primo, e di scenografo del secondo, è apprezzato e conosciuto.


(…) Il discorso sta adesso prendendo una piega diversa da quella che avevamo ipotizzato al principio del racconto. Dalle domande iniziali sul prodotto albo, sta rapidamente scivolando nell’esegesi dei risultati editoriali di alcuni autori eccellenti: da aggiungere, allora, la constatazione che gli operatori più vivaci del settore non sono soltanto scrittori o illustratori ma progettisti a tutto tondo della loro proposta. Illustrautori, come oggi si definirebbero, che vogliono raccontare, ma anche indirizzare e commentare, con la parola, il disegno o la grafica non importa.
Così, in quei tardi anni Sessanta e primi Settanta, si assiste ad una vera e propria esplosione internazionale di talenti, che riusciranno a dare il colpo di timone definitivo al settore e che prepareranno il terreno a quella ormai matura fioritura internazionale che, dagli anni ottanta, ci porterà fino alla fine del secolo.
L’elenco sarebbe probabilmente interminabile e già adesso ci accorgiamo di aver colpevolmente trascurato molti autori che avrebbero bisogno di ben più di una citazione frettolosa. Abbiamo accennato a Tomi Ungerer, Etienne Delessert, Iela e Enzo Mari, ma possiamo certo aggiungere Heinz Edelmann, Eric Carle, Seymour Chwast, André Francois, Beni Montresor, Michael Foreman, Helme Heine, Philippe Corentin, Alfred Lobel, Jorg Muller. E chissà quanti altri.


Spostato ormai verso i nostri giorni il prodotto albo precisa e dilata il suo raggio d’azione. Non più soltanto oggetto “di intrattenimento e di svago”, si sarebbe detto nell’Ottocento, diventa decisamente strumento anche pedagogico, di elaborazione e presa di coscienza sociale, a volte politica. Gli autori non ci raccontano più solo storie o fiabe (lo avevano già fatto i pionieri che abbiamo commentato, ma adesso il trend si diffonde e generalizza), non esistono terreni o argomenti ‘vietati ai minori’ o comunque sconsigliabili. I nostri illustrautori ci descrivono dunque con puntualità e coraggio il mondo intero del bambino, le sue ansie, le sue ossessioni, le sue gioie, i dolori; ma anche i problemi interi della società che, visto che della società il bambino fa ben parte, lo riguardano eccome. Ecco dunque albi sulla diversità, sull’handicap, sulla solitudine, sull’emarginazione, sulla malattia, sulla morte, sul razzismo, sull’olocausto, sulla guerra.
Naturalmente questa maturazione non è solo dovuta alla presenza di artisti più attenti o consapevoli. La società ha cambiato, negli anni, il suo concetto dell’essere ‘infanzia’ e il bambino non è più un “piccolo deficiente che si allena per diventare adulto, costretto alla panchina o al riscaldamento prima di entrare in partita” (l’immagine è di Walter Fochesato), ma un soggetto con una sua precisa fisionomia e identità, che deve essere riconosciuta e coltivata.


Gli albi quindi, a cavallo con il terzo millennio, ci raccontano storie che, allevati con i brodini zuccherosi di Mariapia, mai avremmo immaginato. Sono storie della luce e del buio, del giorno e della notte, mai del tutto bianche o del tutto nere, sempre borderline tra le esperienze; e anche gli autori sembrano essere più attenti e inquieti, a volte quasi febbricitanti. Il mondo non offre a nessuno sicurezze facilmente afferrabili e la grafica registra queste difficoltà. Autori quali Tony Ross, David Mckee, Roberto Innocenti, Armin Greder, Chiara Carrer, Lorenzo Mattotti, Fabian Negrin, Jean Claverie, Gregoire Solotareff, Art Spiegelman, Brad Holland, Nikolaus Heidelbach ci raccontano anche queste altre storie. Si aprono nuovi fronti nella piccola editoria indipendente e si aggiungono, in Italia, a voci ormai storiche come Emme ed EL (da anni confluite in un unico gruppo editoriale), le voci di Orecchio Acerbo, Topipittori, Artebambini, Kalandraka, Corraini, Il Castoro, Babalibri, Logos. Non solo: si recuperano esperienze e autori internazionali che in Italia non avevano avuto mai gran corso legale. Da Paul Rand e Bob Gill editi da Corraini, alla Kveta Pacovska di Salani, agli Shel Silverstein e Remy Charlip di Orecchio Acerbo e, ancora, Salani.


Il retroterra dell’ albo, che avevamo visto all’inizio cercare una propria definizione di formato e logica, per riuscire a raccontarne una parvenza di storia, si è adesso dilatato fino a diventare quasi, di nuovo, indefinibile. Ma adesso i punti di nuova partenza ci sembrano più forti e la storia attuale, che andremo a raccontare da questo momento in poi, sarà sicuramente più ricca e affascinante.

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